Per poter tornare a discutere del novello Piano Nazionale degli Aeroporti, presentato il 17 Gennaio al Consiglio dei Ministri dal Ministro pro-tempore del settore ed in seguito reso pubblico da una informativa ministeriale, bisogna anzitutto chiedersi ancora una volta se la rete degli aeroporti aperti al traffico aereo commerciale esistente in Italia sia attualmente economicamente sostenibile e quindi veramente utile per il Paese, anche considerandone le peculiarità morfologiche.
Lasciando a malincuore da parte la questione del disinteresse politico che ha visto stremare a suon di tasse e senza alcun sostegno quella che nel dopoguerra era rinata quale culla della rinascita aviatoria italiana:
- l’aviazione minore privata, turistica e sportiva e quindi dei relativi aeroporti e campi d’aviazione, ora sostituita da una semianarcoide VLA aviation, concentriamo la nostra attenzione solamente su quegli aeroporti che servono il traffico aereo commerciale e d’affari e quindi in grado di generare reddito economico per il Paese.
Pertanto, riferendoci esclusivamente agli aeroporti nazionali aperti al traffico commerciale su bacini di traffico produttivi e, beninteso facendo salvi quegli aeroporti indispensabili all’unità territoriale, la risposta realistica al quesito è desolatamente la seguente:
- soltanto parzialmente sostenibile. Difatti solo il 50% delle 34 Società di Gestione certificate da ENAC, che nel 2012 hanno gestito l’attuale rete, sono risultate in attivo.
Infatti soltanto i Gestori dei maggiori scali, cioè quegli 8 che possono vantare un traffico annuale di passeggeri superiore a 5 milioni hanno raggiunto un utile economico.
Altri 12 Gestioni aeroportuali hanno movimentato tra 1 e 5 milioni di passeggeri, ma solo la metà – 6 scali - può vantare dei profitti.
Tra i rimanenti 13 aeroporti che hanno movimentato un traffico passeggeri inferiore ad 1 milione, soltanto 3 non denunciano perdite, mentre di un aeroporto che era in ristrutturazione esiste solo una stima di traffico inferiore al milione.
Volendo analizzare nel complesso la struttura trasportistica del Paese, va rilevato che il principale hub italiano – Roma-Fiumicino – serve appena il 24% del traffico complessivo, per un valore paragonabile solo alla Spagna, mentre Francia con il 42% e Germania con il 29% vantano ben altri risultati.
Questo è un fattore molto importante che dovrebbe far riflettere in merito alla determinazione dei bacini di traffico, proprio se si guarda all’orografia del nostro Paese e dove si deve rilevare che i primi 5 aeroporti nazionali coprono soltanto il 60% del traffico complessivo. Vero che il valzer che si è ballato in Italia fra uno o due hubs, fra City airport e “aeroporto tuttofare” (leggasi Milano-Linate) non ha facilitato né i flussi di traffico dirottatisi verso Monaco e Parigi né le sorti della Compagnia Alitalia prima e Alitalia-CAI dopo. Per cui il rimanente 40% di traffico risulta suddiviso fra tutti gli altri 37 aeroporti esistenti in Italia (isole minori comprese), 34 dei quali gestiti in concessione.
Dunque, a mio parere, per essere sostenibili, gli aeroporti nazionali dovranno mantenere sotto mira in futuro una doppia prospettiva, con un ramo prospettato nel medio-lungo periodo, ma senza mancare uno sviluppo sostenibile della propria capacità infrastrutturale contemperata da un oculato “piano generativo di reddito” ed un secondo ramo di deciso miglioramento della qualità del servizio complessivo di assistenza offerta, adeguato alla necessità di remunerare il capitale.
Particolare attenzione deve essere posta al tema dell’accessibilità agli aeroporti e alle connessioni intermodali, affinché i territori possano trarre i maggiori benefici dallo sviluppo delle attività aeroportuali.
Gli aeroporti devono essere o esser messi e mantenuti sempre in condizione di adeguamento completo e totale agli standard internazionali di SICUREZZA OPERATIVA dell’ICAO, sia all’interno che all’esterno del sedime aeroportuale, così come stabilito dai Regolamenti dell’Unione Europea, divenuti solo teoricamente cogenti in Italia, ma finora in gran parte disattesi o rimandati a tempi migliori.
Concludendo:
- gli aeroporti nazionali aperti al traffico commerciale (sia passeggeri che cargo) saranno economicamente remunerativi e quindi sostenibili (anche con il concorso dello Stato) se in futuro avranno un chiaro e ben definito carattere commerciale nella rete complessiva che si andrà delineando e nel proprio bacino naturale di utenza. Ma, conditio sine qua non, sarà pure la realizzazione delle infrastrutture realmente necessarie per accedervi e per le operazioni in sicurezza, in un contesto di capacità di flessibilità ed automazione, che sia però a misura dell’utente medio.
Non si faccia l’errore di pensare che tutta la popolazione nazionale o la clientela estera sia tutta composta da esperti informatici o da valida gioventù.
data inserimento: Mercoledì 22 Gennaio 2014