Dalla SEA di Milano agli scali de FVG la cessione delle partecipazioni deve essere generalizzata. E' solo questione di tempo, ma la vendita delle quote azionarie e delle partecipazioni pubbliche (Comuni, Provincie e Regioni) nelle società aeroportuali è nella natura delle vicende del trasporto aereo del Belpaese.
L'invito dell'OCSE a liberarsi delle quote possedute, ma sopratutto a rinunciare delle nomine di personaggi proveniente dal mondo della politica-partitica nei CDA e dei CEO della società appare una misura in linea con la riduzione dei costi pubblici nella gestione di uno scalo aereo e al sostegno (co-marketing) dei collegamenti e, in genere, dei voli. Scali che nella quasi totalità registrano bilanci in rosso e che necessitano di continui esborsi e ripianificazione dei debiti contratti.
Quando il Ministro Corrado Passera invoca uno stop, una brusca inversione nelle politica di supporto agli scali aerei. Ogni Provincia italiana ne pretende uno. Minore e maggiore, strategico e di aviazione generale. Prefigura anche uno scenario di privatizzazione.
La dismissione delle aerobasi militari è una ulteriore problematica. La gestione è trasferita alle Regioni che, necessariamente, devono investire altro denaro aggiuntivo.
Al Comune di Milano che ha ceduto all’asta una prima quota degli aeroporti di Malpensa e Linate (se l'acquirente è autorevole e/o un mero speculatore è altra cosa e necessità una ulteriore analisi) i proprietari pubblici dei numerosissimi scali sono del tutto contrari all'operazione.
Politiche partitiche e sindacali contrastano la vendita rivendicando nel ruolo pubblico un welfare occupazionale virtuoso in contrasto con gli scenari e le dinamiche di efficienza e massimizzazione insite nella gestione privatistica. Ma i costi sostenuti dalle amministrazioni pubbliche sono comunque eccessivi ed inevitabili sono gli sperperi. E la managerialità delle gestione è spesso una scommessa da verificare.
Nel Friuli Venezia Giulia ad esempio, in attesa che anche l'aerobase di Rivolto e quella USAF di Aviano vengano dismesse e trasferite alla Regione, i costi e le prospettive collegate ai tre scali controllati, ovvero Ronchi dei Legionari, Gorizia e Campoformido, appaiono decisive a perseguire un programma di cessione a privati o altri soggetti interessati.
Le spese di gestione dello scalo Savorgnan de Brazzà e quelle di co marketing sono elevate e la fusione e/o cessione alla SAVE di Venezia è a senso unico ed in ritardo, ma gli interrogativi sono collegati ai due aeroporti exaerobasi dell'aeronautica pioneristica italiana.
Che fare?
E' meglio disfarsene, e prima possibile.
Il trasferimento della gestione a consorzi di associazioni di cittadini e soggetti diversificati, come delineato dall'ENAC di Venezia, ente competente, appare una opzione illusoria: sarà comunque sempre la Regione che dovrà finanziare le attività e le pretese "aeronautiche" delle associazioni autoproclamatisi interessate alla custodia e supposto rilancio delle piste storiche.
Anche gli ipotizzati insediamenti di Istituti tecnici aeronautici - ad esempio a Campoformido - appare una velleità impraticabile in un territorio che ha disperso e rinunciato a qualsivoglia alternativa industriale aeronautica. Le esigenze correlate alla formazione LMA (dei manutentori aeronautici) infatti, vanno commisurate alla carenza di vocazioni specifiche quanto sulla inutilità nel disporre di una pista di volo accessoria (reclamata, incredibilmente, di una lunghezza di 1.100 metri).
Quest'ultima opzione, fra l'altro, si misura con l'urgenza ed imprescindibilità di ingenti richieste di sostegno finanziario della Regione e di una industria aeronautica inesistente nel FVG.
Uno scenario romantico, ideale, che non verifica adeguatamente la sostenibilità ambientale, i vincoli aeronautici e la coesistenza con il territorio circostante.
E inevitabile vendere. Per aeroporti minori e regionali, partendo da quelli strategici.
data inserimento: Domenica 18 Marzo 2012